Gli attacchi di panico consistono in delle crisi d’ansia acute che (1 ) si presentano in maniera inaspettata e che (2) vanno incontro ad un’escalation dei sintomi d’ansia.
Nella maggior parte dei casi sarà proprio questo carattere di imprevedibilità (soprattutto legato al primo attacco) a far nascere il cosiddetto “circolo vizioso della paura” detto anche ” paura della paura”.

uid_1425b3726ef.650.340-495x340 Attacchi di panico

Cos’è il circolo della paura tipico degli attacchi di panico?

Dopo un primo episodio di panico, ciò che spaventa maggiormente è proprio la paura della possibilità che l’attacco di panico possa ripresentarsi nuovamente con la sua dose di paura e disagio sperimentato durante la crisi. La paura, da quel momento in poi, è avvertita come potenzialmente in grado di elicitare un nuovo attacco di panico: si ha paura, che la stessa paura possa condurre ad nuovo attacco di panico. Per questo si parla di paura della paura.
Questo conduce alla messa in atto di modalità per gestire l’ansia, che consistono principalmente nell’evitamento di tutte quelle situazioni ritenute potenzialmente minacciose e suscettibili di provocare un nuovo attacco. Si struttura velocemente una nuova modalità di vivere il quotidiano.

La paura (anticipatoria) che possa ripresentarsi un nuovo episodio di panico diventa, così, parte della sintomatologia.

Dato che gli attacchi di  panico col tempo si presentano nelle situazioni più disparate (a casa propria, in una circostanza allegra..), qualsiasi contromisura messa in atto dalla persona sembra essere inefficace.
Per arginare l’ansia di potenziali crisi, si comincia a ridisegnare il perimetro del proprio spazio di movimento, connotandolo di limitazioni ed evitamento, specie di quelle situazioni percepite, intraviste o solo immaginate (anticipate) come potenziali minacce alla propria stabilità.
Da qui, nella maggior parte dei casi, l’episodio di attacco di panico evolve in un disturbo di attacco di panico con agorafobia ( l’agorafobia, che è comunemente indicata come la paura degli spazi aperti, è in realtà “l’ansia di muoversi nel mondo”)

Il corpo come fonte di segnali destabilizzanti

Molto spesso, gli articoli che espongono questa tematica, trattano le crisi di panico come una conseguenza di errate convinzioni (pensieri catastrofici), o causato da conflitti inconsci irrisolti.
Tralasciando il discorso sull’inconscio, seconda una certa letteratura sono le cognizioni distorte o pensieri catastrofici gli unici responsabili delle crisi di panico.
In pratica, secondo questo assunto datato e duro a morire, la causa degli attacchi di panico sarebbe da ricondurre unicamente alla convinzione da parte della persona di trovarsi o di andare incontro ad una situazione suscettibile di provocare una crisi di panico. Come risultato, la crescente ansia legata alla situazione corrente o anticipata (immaginata) andrebbe sempre più intensificandosi scatenando la crisi di panico.
Da ciò discende il corollario secondo cui la cura consiste essenzialmente nel fornire informazioni più dettagliate sugli eventi suscettibili di indurre un attacco di panico, in modo da evitarne l’ascesa.

Facciamo qualche esempio:

Supponiamo che una persona salga le scale di fretta (o sia atta a fare una corsetta), l’accelerazione del battito cardiaco potrebbe essere avvertita, dapprima come un cuore martellante, poi come un possibile imminente infarto. Secondo tale assunto, quindi, la persona preda dell’ansia, si anticipa una situazione di pericolo imminente, ossia la possibilità che da un momento all’altro possa sentirsi male. Anticiparsi, in questo caso, significa che la persona andrà incontro ad una catena di pensieri ed immagini quali:
la possibilità di cadere a terra, persone che la soccorrono ed eventuale imbarazzo o vergogna, la corsa in ospedale etc..
Da qui la possibilità che entri nel suddetto circolo della paura.
La paura che da lì a poco possa succedere l’irreparabile, quindi, comincia con una serie di pensieri responsabili dell’ansia e continua ad aumentare in un vortice di pensieri e ansia che risucchiano la persona fino alla possibile crisi di panico.

In questo caso, secondo tale teoria, la persona produce delle cognizioni (pensieri) catastrofiche, e per tanto la terapia consiste nel modificare questo “schema” attraverso informazioni più dettagliate che hanno lo scopo di modificare le rappresentazioni (le immagini e i pensieri) in modo da non incorrere in un attacco di panico. Ad esempio, informazioni di base sul funzionamento del cuore, sul battito cardiaco, sul corpo e così via.
Questo schema può essere adattato alle varie situazioni: ansia di restare imbottigliati nel traffico, ansia mentre si è dentro l’ascensore, ansia all’interno di un cinema durante la visione di un film, ansia nel trovarsi in mezzo alla folla…; o anche, ansia di trovarsi nello spazio aperto di una piazza, di un grande centro commerciale…etc.

Cosa accomuna i vari esempi riportati?

In tutti questi esempi, ciò che non cambia, sono due aspetti:
da un lato, la spiegazione della dinamica del fenomeno, e cioè che l’ansia è causata da rappresentazioni catastrofiche che conducono alla crisi di panico;
dall’altro, la terapia, la quale ha come unico obiettivo la modifica degli schemi catastrofici rispetto alle situazioni ansiogene.

Cosa manca in questa spiegazione degli attacchi di panico?

Se invece di fermarci alla spiegazione data dalla sola prospettiva teorica, ascoltiamo i racconti di chi vive il fenomeno in prima persona, se cioè quindi ci poniamo dalla prospettiva di chi vive e racconta l’evento mentre sta per accadere, molti pazienti sono pronti a giurare che la sensazione di ansia che conduce ad un attacco di panico, avviene prima che insorgano i pensieri.
Cioè, dai loro racconti emerge un’altra dinamica.

Essi affermano che prima di sentire il cuore martellante, già si avvertono destabilizzati, in preda all’ansia, e che contemporaneamente o solo in seguito diventano preda di pensieri e rappresentazioni di certi scenari (cadere a terra, corsa in ospedale, etc.)
Se così fosse, gli attacchi di panico non nascono da informazioni inadeguate che conducono a pensieri catastrofici e poi eventualmente alle crisi di panico, ma l’ansia emergerebbe molto prima.

Insomma, seppur i pensieri giocano un ruolo importante nella possibile genesi di un attacco di panico, essi non bastano a spiegarne la dinamica.

I segnali del corpo e il senso di destabilizzazione

Alla base di questo fenomeno, infatti, molto spesso un ruolo ancor più determinante (in quanto precedente alle rappresentazioni) lo ha il senso di destabilizzazione (una sensazione di pericolo o di allarme generale). Qualcosa che è da rintracciare nel fenomeno dei segnali provenienti dal corpo, o meglio, dal modo  di avvertirsi nella propria carne. Questi segnali (anche inconsapevoli come quelli provenienti dai nostri visceri) mutando il modo di avvertirsi nella propria carne, mettono già in uno stato di destabilizzazione (ossia il non sentirsi più tranquilli), e contemporaneamente portano l’attenzione ad esempio sul cuore, avvertito come troppo accelerato, martellante, o in pericolo.
Questo modo di sentirsi destabilizzati,  ad esempio durante una corsa nel prato,
provocherebbe già un senso di possibile perdita di equilibrio, di asfalto non aderente sotto i piedi, di possibile imminente caduta e perdita dei sensi.  Ed è da qui che potrebbe cominciare o meno la catena dei conseguenti pensieri e scenari, quali:  la possibilità di svenire, di avere un infarto, di correre in ospedale.

In questo caso, quindi, la terapia non dovrebbe basarsi su una maggiore accuratezza informazionale…

ma piuttosto sul mettere in luce, e cioè sul fare chiarezza del come una persona in certe circostanze si avverte improvvisamente ansiosa.

Da dove deriva questo cambiamento improvviso nel proprio modo di avvertirsi?
Perchè ad un cuore accelerato (in certe circostanze) ci si avverte contemporaneamente destabilizzati?
Come mai anche davanti ad emozioni piacevoli, come il senso di gioia derivante da una bella notizia, piuttosto che il ridere a crepapelle o l’attesa dell’incontro d’amore possono condure ugualmente ad un senso di ansia e conseguentemente ad possibile attacco di panico?
Leggi l’articolo relativo ai sintomi d’ansia estivi se vuoi approfondire questo tema.

Due cose da sapere sugli attacchi di panico:

  1. Il primo episodio di panico viene vissuto solitamente come quello più spaventoso proprio per l’assoluta non conoscenza dei suoi sintomi, e nella maggior parte dei casi può concludersi con una corsa in ospedale per il timore di un infarto;
  2. La paura di impazzire o di perdere il controllo che possono presentarsi durante un episodio di panico sono legate alla sensazione di allarme generale.

Alcuni sintomi degli attacchi di panico sono:

Palpitazioni/tachicardia (battiti irregolari, pesanti, agitazione nel petto, sentirsi il battito in gola)
Paura di perdere il controllo o di impazzire (ad esempio, la paura di fare qualcosa di imbarazzante in pubblico o la paura di scappare quando colpisce il panico o di perdere la calma)
Sensazioni di sbandamento, instabilità (capogiri e vertigini)
Tremori fini o a grandi scosse, Sudorazione, Sensazione di soffocamento, Dolore o fastidio al petto
Sensazioni di derealizzazione (percezione del mondo esterno come strano e irreale, sensazioni di stordimento e distacco) – depersonalizzazione (alterata percezione di sé caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo)
Brividi, Vampate di calore, Parestesie (sensazioni di intorpidimento o formicolio), Nausea o disturbi addominali, Sensazione di asfissia (stretta o nodo alla gola)

Come posso aiutarti

Come dicevamo, innanzitutto bisogna rompere il meccanismo reiterativo (ripetitivo) degli attacchi di panico. E questo per due motivi.

In primo luogo, chi ha fatto e continua a fare esperienza di un attacco di panico sa bene quanta sofferenza esso possa generare. E questo non soltanto per il malessere dovuto ai sintomi ma anche per l’impatto che la paura di un prossimo attacco ha sulla vita della persona.
Per cui, il primo obiettivo è quello di rompere il meccanismo degli attacchi di panico e restituire motilità d’azione alla propria esistenza, offrendo nuovamente la possibilità di ridisegnare nel tempo e coi propri tempi, il proprio spazio d’azione.

In secondo luogo, la necessità di spezzare il circolo deleterio degli attacchi di panico è una condizione necessaria per fare chiarezza sui modi di essere che alimentavano e sostenevano il panico.

Solo in un secondo momento, quindi, quando si è liberi dal sintomo, il percorso terapeutico potrà essere indirizzato verso una maggiore comprensione di sè.