Il trauma e la sofferenza psicologica
Quando si può parlare effettivamente di trauma? Inoltre, è sempre tutto riconducibile ad un trauma, oppure la sofferenza psicologica può dipendere da altri fattori?
Certamente non tutto dipende da una qualche forma di trauma irrisolto!
Cioè, l’ansia, o altre forme di disagio, non sono sempre da ricondurre ad un fatto traumatico accaduto in passato.
Sebbene molto spesso, sia i pazienti che certi terapeuti, sono soliti ricondurre la sofferenza o il disagio attuali ad un tipo di trauma collocabile in un periodo del passato e dell’età infantile, questo non è sempre vero. Molto spesso purtroppo, ostinandosi nella ricerca del trauma perduto, si perde di vista quello che si ha sottomano, ossia l’esperienza attuale. Questo fatto non solo comporta il perdersi in lunghe terapie spesso improduttive, ma anche il restare intrappolati in una narrazione che ha poco o nulla a che vedere con il malessere del momento.
Innanzitutto, cosa intendiamo per trauma psicologico?
Nella storia della psicopatologia sono state date numerose definizioni di trauma psicologico.
In generale si tende a definire trauma psicologico, la conseguenza di un evento fortemente negativo e minaccioso per la vita, che genera una “frattura” emotiva nell’individuo che lo vive, tale da minare il senso di stabilità, di sicurezza, di identità e di continuità fisica e psichica della persona o delle persone che si sono trovate ad affrontarlo. Il trauma, quindi, come una sorta di evento incubato nella psiche, condiziona il divenire della storia della persona nei suoi accadimenti futuri
In psicotraumatologia:
Nel Disturbo da stress Post Traumatico, la condizione di trauma psicologico – inteso come causa dei sintomi post traumatici – viene definita come: un evento che espone la persona a morte o ad una minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale in uno o più dei seguenti modi:
1) fare esperienza diretta dell’evento
2) assistere a un evento traumatico accaduto ad altri
3) venire a conoscenza di un evento traumatico accaduto a un membro della famiglia oppure a un amico stretto. In caso di morte o minaccia di morte, l’evento deve essere stato di natura accidentale o violenta;
4) fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi dell’eventi traumatico (es: primi soccorritori che raccolgono resti umani, agenti di polizia ripetutamente esposti a dettagli sugli abusi dei minori,…)
Rientrano in questa categoria: abuso sessuale, aggressione, lutto, incidente, malattia, calamità naturali.
Non tutte le esperienze negative sono traumatiche.
Da quanto si evince quindi, non tutte le esperienze potenzialmente traumatiche conducono ad un trauma effettivo.
C’è di più, molti eventi catalogabili come potenzialmente traumatici, come ad esempio l’esser sopravvissuti ad un incidente estremamente pericoloso, possono essere elaborati nel giro di poco tempo, senza lasciare le tracce di alcun trauma.
Ad esempio, un mio paziente che era sopravvissuto ad incidente in cui era rimasto bloccato per circa dieci minuti all’interno dell’auto ribaltata, non aveva riportato eclatanti sintomi di natura post-traumatica. Al contrario, la sorella che era accorsa sul luogo dell’incidente e aveva visto l’auto ancora ribaltata ma con il fratello ormai incolume accanto a lei, aveva riportato sintomi post-traumatici come flash back intrusivi di quell’immagine. Inoltre, aveva sviluppato una particolare ansia legata allo stare in auto (essere seduta sul lato passeggero).
L’idea di trauma nella nostra cultura.
Nel caso del paziente qui sopra esposto (che chiameremo fittiziamente Mario), l’idea che ad un simile evento dovesse necessariamente seguire una qualche forma di trauma, ha fatto si che quando egli si è rivolto ad un terapeuta per sintomi d’ansia, entrambi concordassero fin da subito che l’ansia era una conseguenza del trauma indotto dall’incidente. Da ciò è conseguita una lunga terapia incentrata sulle conseguenze dell’incidente che però non ha attenuato minimamente l’ansia e il malessere esperito.
Come mai dopo una lunga terapia l’ansia non accennava a migliorare?
Ciò dipendeva dal fatto che in realtà i sintomi e il disagio che Mario presentava erano una conseguenza non tanto dell’incidente quanto del periodo di crisi con la sua compagna. Negli ultimi tempi, aveva maturato un sentimento nei confronti di una collega con cui aveva instaurato una relazione clandestina da circa quattro mesi.
L’ansia che Mario manifestava, non essendo ricondotta per nulla alla relazione con la collega (in quanto lui stesso non ne aveva accennato considerandola qualcosa di meno grave), aveva spostato la sua attenzione e quella del terapeuta sulla causa che sembrava più plausibile, ossia il trauma dell’incidente. E il tutto, nonostante Mario asserisse con una certa convinzione che l’incidente pur nella sua violenza, era apparso più pericoloso per gli astanti e i familiari, che non per lui.
Sarebbe bastato verificare quando l’ansia aveva fatto la sua comparsa, per accorgersi che, in realtà, essa era diventata già molto intensa almeno un mese prima dell’incidente.
Fare ordine nella narrazione degli eventi, oltre che necessaria per comprendere le ragioni e le motivazioni che alimentano l’ansia o altro disagio, consente contemporaneamente di ridurre i tempi della terapia. In una terapia Breve si è liberi da preconcetti, in quanto l’esperienza insegna che non sono necessariamente i fatti oggettivamente più eclatanti a produrre una sofferenza psicologica, ma piuttosto gli eventi soggettivamente rilevanti.
Nel caso di Mario ad esempio, un mese circa prima dell’incidente, l’amante cominciava a insistere per una relazione stabile, avendogli confessato di nutrire un forte sentimento. Così, quella che inizialmente doveva essere una relazione clandestina tra colleghi, col passare dei mesi si stava trasformando in qualcos’altro. Questo nuovo sentimento nascente da parte di entrambi, metteva profondamente in repentaglio il rapporto di Mario con la sua compagna. Ed proprio durante quel periodo, che un giorno in preda a dubbi, domande e timori, si ribalta con l’auto sul ciglio della strada.
Perchè si ha la tendenza a riportare la sofferenza psicologica alla necessaria presenza di un trauma?
Siamo stati abituati attraverso film, romanzi e una certa psicologia del 900, che alla base dei comportamenti attuali c’è sempre e solo un modo di essere costituitosi nell’infanzia. C’è sempre la presenza di un forte trauma in grado di spiegare la personalità, il carattere e un’eventuale sofferenza della persona. Il trauma si configura più o meno come quell’esperienza in grado di giustificare qualsiasi sofferenza psicologica, passata e presente.
Quindi, anche se è indubbio che un evento di una certa portata può costituire un potenziale trauma, ciò non è sempre vero. Come nel caso di Mario, il quale pensava che la sua ansia dovesse per forza essere legata all’incidente, non riuscendo a trovare altre valide motivazioni.
Questo modo di interpretare la sofferenza attuale riportandola forzatamente ad un trauma, ossia ad un evento o più eventi incontenibili dalla psiche, rischia molto spesso di dar luogo a terapie senza risultati. O peggio ancora di fornire una spiegazione teorica che incastra la persona in una sorta di destino. Una spiegazione che anziché aprire alla vita, la rinchiude. Ad esempio, posso raccontarmi che la mia ansia dipende dal trauma del divorzio dei miei genitori, o che il mio matrimonio sta naufragando per lo stesso motivo.
La differenza tra un trauma ed esperienze rilevanti.
Come abbiamo visto, per quanto dolorose, non tutte le esperienze sono traumatiche. Tuttavia, per quanto non traumatiche, alcune esperienza lungo il corso della vita possono generare una condizione sintomatologica. Sono esperienze dotate di una “pregnante significatività”: esperienze a partire da cui la nostra esistenza può assumere un nuovo punto di svolta e rimescolare le carte del fato.
Ad esempio, nel caso di Mario, l’intensificazione dell’ansia era direttamente legata agli sviluppi futuri che quel nascente sentimento veniva a creare. In pratica, il sentimento verso la collega e il fatto che anch’ella si fosse scoperta, poneva la possibilità di una nuova relazione e la fine della precedente. Un passaggio questo che seppur desiderato era contemporaneamente fonte di ansia.
La differenza tra una visione esclusiva del trauma e una che tenga conto anche delle esperienze di vita in corso risiede proprio in questo.
Qui non si tratta di disconoscere il valore che certe esperienze traumatiche possono avere sulla vita di una persona, ma tenere presente che la nostra vita non è solamente un nastro da riavvolgere. Fermarsi ad una visione di questo tipo, significherebbe andare ogni volta alla ricerca di quel trauma tale da giustificare il malessere attuale, perdendo di vista così quei micromovimenti che seppur non propriamente traumatici sono soggettivamente rilevanti e tali da dare avvio ad un nuovo modo di sentirsi. Come nel caso di Mario, in cui l’ansia seppur rapportabile ad un modo di essere costituitosi lungo l’arco dell’esistenza, è soltanto nell’incontro con la nuova esperienza ( la relazione con la collega) che si manifesta in tutta la sua significatività.
Così, seppur possiamo dire che Mario è da sempre una persona ansiosa, per dare un senso “all’ansia e alla sua sofferenza attuale” non è utile volgersi da subito verso il passato, ma verificare piuttosto le condizioni che al momento gli hanno sconvolto l’esistenza.
Ciò ci permette di guardare alla vita non soltanto soffermandoci sulla dimensione passata traumatica, ma sull’intero arco dell’esistenza: nell’incontro tra passato, presente, e futuro.
Infatti, per quanto non ne siamo consapevoli, ogni nostro momento, ogni nostro adesso, è l’insieme di passato, presente, e futuro in un colpo solo. Nel caso di Mario, ad esempio, potremmo rilevare un timore legato alla fine della relazione più stabile (passato), il piacere derivante dalla relazione con la collega (presente), e il desiderio che questo piacere non si interrompa (futuro). Allo stesso tempo, il desiderio che non si interrompa (futuro) si riversa sulla sua relazione (passato). Nessun trauma quindi, ma una scelta, probabilmente così sofferta da spostare l’attenzione sull’incidente piuttosto che sui reali motivi della sua ansia.
In definitiva, non è la differenza terminologica qui ad essere essenziale. Che la si chiami trauma piuttosto che Ombra, ciò che importa comprendere è che una visione traumatologica tende a riportare il malessere attuale ogni volta ad esperienze del passato più o meno intense. Mentre, le motivazioni alla base di un determinato malessere possono essere legate anche ad eventi in corso o in sviluppo.
Questo consente di abbreviare i tempi di una terapia, senza perdersi in lungaggini che non arrivano a nulla.
Per concludere, possiamo dire che la sofferenza psicologica, non va ricercata soltanto tra le fila di un trauma irrisolto, ma nell’Esistenza, che continuamente ci mette nella necessità di far quadrare i conti della nostra storia di vita. Una vita fatta di scelte, esperienze ed eventi che non sempre si incastrano nel delicato mosaico del nostro racconto, e da cui si dipanano i diversi scenari esistenziali, tra cui anche quelli di sofferenza e malessere.
Diego Chiariello
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!